Per comprendere appieno questo corpus recente di ricerche plastiche astratte, non si possono ignorare gli esordi giovanili di Vincenzo Chiazza. Essi infatti, nella produzione degli anni ottanta, già si rivolgevano a una forma sublimata, ancora legata alla riconoscibilità tangibile della visione . Si trattava comunque di una riflessione approfondita sull'armonia della figura dove, se permaneva come motivo dominante un tratto squisitamente Novecentista, era tuttavia presente la tensione, o la spinta di una necessità interiore, in direzione di quella musicalità che avrebbe costituito la premessa estetica dei lavori successivi. La sua ricerca guardava ai maestri che l'avevano preceduto, con la severa necessità di aderire al vero in chiave musicale, rifiutando la soglia del realismo, come nei casi emblematici di Francesco Messina e di Emilio Greco.
Tutto il suo procedere ha sempre corrisposto a un modellato di intangibile classicità, che perdura anche oggi. Nella sua adesione all'astrazione, che risale alla fine della scorso decennio, persiste, come status estetico, la memoria di una nudità metamorfica approdata inevitabilmente alla forma informe.
Come i suoi maestri, Chiazza è di origine siciliana, ma torinese d'adozione.
A differenza di altri suoi colleghi conterranei, egli ha deciso di abbandonare il tuttotondo di forma riconoscibile, per aderire alla suggestione di una forma essenziale, primitiva, astratta, e tendente magnificamente verso l'alto, in un trascendente dinamismo. Non crisi di valori quindi, ma meditato passaggio, e crescita interiore verso altre idealità.
Scultore mediterraneo e solare, egli partecipa a tutte le inquietudini del nostro tempo, essendo poeta plastico di interrogazioni, ma anche di certezze, che ricordano quelle espresse con ferma solidità da Hans Arp o da Henry Moore. La dinamicità della sua materia si avvolge in ritmi danzanti e solari, che si aprono nello spazio. La tridimensionalità delle sue forme si illumina nei cromatismi naturali delle superfici, sulle quali Chiazza appone una patina leggermente ruvida al tatto, ma estremamente dolce allo sguardo. La luce che si rifrange sul tuttotondo esalta la sensualità primitiva della forma e del colore, creando ombrosità negli incavi, come una sorta di suggestivo intervallo nella solennità della materia bronzea.

Paolo Levi

Vincenzo Chiazza