Le prime sculture le modella nella creta scartata dagli operai della solfatara di Cianciana, in provincia di Agrigento, dove Vincenzo Chiazza è nato nel 1944. "La creazione manuale mi attirava già da bambino", racconta. "Mi piaceva guardare il lavoro del falegname, che sapeva dare vita a forme nuove dalla materia". Per assecondare questa passione, studia all'Istituto d'arte di Sciacca e comincia a sperimentare nuovi materiali. Lavora il legno e le pietre che raccoglie lungo il fiume. All'inizio realizza specialmente ritratti: del padre, della madre, dei figli e della moglie Teresa. Con il passare del tempo, le sue opere si fanno sempre più astratte, evidenziano la lezione di Henry Moore e Jean Arp. Chiazza continua a scolpire anche quando si trasferisce al Nord, prima a Milano, dove incontra Francesco Messina, e poi a Torino, dedicando all'attività artistica soprattutto le notti. Tra i materiali che preferisce c'è sempre il legno, di aframosia o iroko. Sono legni di colore bruno, duri e molto resistenti, simili al tek. L'artista li lavora tenendo conto della loro struttura naturale, facendosi guidare dalla presenza di venature e nodi. L'iroko, in particolare, tende a ossidarsi e a cambiare colore con il tempo, trasformando l'opera in qualcosa di vivo. Pure il bronzo e il gesso o vengono spesso usati dallo scultore, che rifinisce i suoi lavori fino a renderli lisci e lucidi per sfruttare i riflessi. Qualche volta preferisce, invece, scavare nelle loro possibilità per creare una certa ambiguità tra i materiali. Il legno assume l'aspetto del bronzo e il gesso quello del legno. Ambiguità si trova anche nella definizione delle forme, studiate per sembrare del tutto astratte, ma nelle quali non è difficile riconoscere animali, figure femminili, maternità o coppie strette in un abbraccio.

Sabina Spada

Vincenzo Chiazza